Gatto Chembo e il miracolo economico
Il gatto Chembo crebbe negli anni ’60 in una casa di periferia, una casa popolare, che il comune affittava a famiglie con basso reddito, ma non era un gatto da salotto: percorreva come un principe le strade senza traffico, dove i bambini giocavano e anche i gatti di casa potevano andarsene in giro senza pericolo.
Era arrivato là nascosto in un cestino della merenda: un bambino l’aveva trovato piangente in un cespuglio, mentre tornava a casa dall’asilo, a piedi, come era normale allora, con la sorella più grande. I due avevano avuto pietà del povero orfanello e l’avevano ricoverato nel cestino vuoto, per dargli un rifugio che lo tranquillizzasse. Infatti nel cesto il micio aveva smesso di piangere, forse anche per una crosta di formaggio avanzata che aveva cominciato a leccare. Arrivati a casa, avevano messo il cestino dietro un mobiletto e l’avevano dimenticato, o almeno fatto finta.
Si era seduta a pranzo la famiglia, all’arrivo del padre, e tutto andava sui soliti binari quando da dietro il mobiletto si udì un lieve miagolio. Stavano ascoltando il giornale radio e i genitori pensarono ad un rumore dell’apparecchio, ma quando si ripetè, debole e costante, fu necessario stabilire di cosa si trattava. La bambina cominciò a balbettare, sapeva che la madre non amava gli animali, mentre il piccolo si schierò davanti al cestino, a difesa contro chiunque. “È un orfanello, disse cocciuto, e lì ci sta benissimo” Leggi il seguito di questo post »